Libertà! Il senso e l’essenza di uno stampo di metallo nato a Pontedera negli anni del boom economico per la sua stessa a casa produttrice. Ma non si può diventare leggenda senza raggiungere l’eccellenza anche sul piano tecnico e stilistico, perfetta sintesi tra arte e design che come gli oggetti di Bauhaus privilegia essenzialità, estrema modernità, attenzione alla forma e al colore. Che si spoglia del superfluo per arrivare agli elementi davvero basilari spesso ridotte alle primogenite forme geometriche, nel nome della razionalità e della funzione, Per questo, osservandolo con gli occhi di oggi, il Ciao deve trovare un posto nella storia del design accanto la sedia Wassily, così come gli ingegneri di Pontedera vanno annoverati tra i seguaci di Louis Henry Sullivan.
Per generazioni e generazioni ciclomotore della Piaggio è stato però liberta, conquista sociale e indipendenza giovanile dando tutto e chiedendo molto poco in termini di manutenzione e, soprattutto, di consumo carburante. Uno spazio e un ruolo con conquistati subito, in una Italia che aveva vissuto anni di grande crescita economica e demografica ma che si stava affacciando ad un periodo decisamente travagliato, quella della “contestazione” che investì molte nazioni in coincidenza con la nascita dei primi movimenti studenteschi in Europa e pacifisti oltreoceano. Una rivoluzione sociale e culturale fondata sui principi estremamente radicali portata avanti con le manifestazioni di piazza, alle quali si accompagnava il disagio di un’intera generazione desiderosa di emanciparsi dal sistema. Momento strategico che fece anche la fortuna del Ciao, capace di raggiungere questi obiettivi per le sue intrinseche doti ma anche grazie a una campagna pubblicitaria profondamente nuova e anticonvenzionale, i cui messaggi recepivano il mutato clima liberato da stereotipi e banalità, senza rinnegare però un valore ancora fondamentale come la famiglia. Quando la routine andava stretta, gli hobby o un semplice divertimento chiamavano, “prendi il Ciao e regalati un’ora di felicità” recitava… Era il pratico e accessibile anche alle ragazze, perché la sua forma non richiedeva di scavalcarlo per salire in sella e si avviava facilmente con un leggero colpo di pedale simili a quelli delle biciclette che avevano accompagnato le generazioni precedenti. Uno strumento di indipendenza, che dava lo stretto necessario anche in termini di comfort, affidando le asperità della strada alla sella molleggiata e alla risposta delle piccole molle anteriori, presenti non in tutti i modelli disponibili in commercio. Ma anche in questo caso “razionalità e funzione”. La libertà era una di quel era anche quella di abbandonare i pedali una volta che il motore aveva preso i giri, spostando i piedi sulla pedana centrale, anche se la posizione originale garantiva un maggiore controllo del veicolo in condizioni di emergenza. Appoggio che serviva anche per l’assistenza muscolare al motore in caso di pendenze troppo elevato per l’utilizzo come bicicletta in caso di malaugurato a guasto meccanico. Il consumo era cdavvero irrisorio: tra il percorso urbano ed extraurbano si arrivava a percorrere tra i 40 e 50 km con un litro di miscela al 2% che all’epoca erogata da tutti i distributori, toccando percorrenze di 140 km con un pieno. In sella si stava comodi anche se si accusava, soprattutto sui percorsi particolarmente accidentati, l’assenza di sospensione posteriore. Le prestazioni, pur rimanendo rigorosamente nei limiti imposti dal Codice, erano più che soddisfacenti. Al portapacchi posteriore potevano essere agganciate borse personalizzate. E i colori tutti molto vivaci con una personalità propria, erano parte integrante dell’immagine del ciclomotore Piaggio. Decisivo il nome Ciao, informale, antiborghese, confidenziale, diretto, sintesi perfetta del momento storico e dell’impatto sia in italiano che nelle lingue europee.